Gli aspetti economici

Alla vigilia dell'annessione Roma mostrava tutte le caratteristiche economiche delle città dell'Ancien régime. Le principali attività svolte all'interno delle mura, con caratteristiche prettamente artigianali, erano indirizzate principalmente al soddisfacimento dei bisogni del clero, della nobiltà e del turismo. Alcune di queste attività, uniche nel loro genere, furono ridotte a malpartito, oltre che dal mutato clima politico che aveva ridotto sensibilmente la domanda del loro tradizionale mercato, dall'aggressiva penetrazione dell'industria settentrionale che vedeva in Roma una promettente piazza per la vendita dei prodotti realizzati dalla propria attività manifatturiera. L'industria settentrionale non aveva quindi l'interesse di investire capitali che avrebbero potuto favorire lo sviluppo industriale della città, che sarebbe stato, se realizzato, un pericoloso strumento di concorrenza per i prodotti del nord. In proposito è emblematico il mancato sviluppo di un'industria laniera che avrebbe trovato nell'attività pastorale svolta nella campagna romana la sua fonte di approvvigionamento. Invece si verificò il fenomeno tipico delle economie arretrate disposte ad una soggezione di tipo coloniale: le materie prime abbondanti che vi si producono, in luogo di divenire fattore determinante di una localizzazione di industrie trasformatrici, si esportano per essere lavorate altrove, e ricomprate poi nel prodotto finito (lana, pelli). Si manifestava qui in una delle sue forme più tipiche la convergenza di interessi al mantenimento di arretrati rapporti di produzione, tra i gruppi più progrediti che vengono a colonizzare e le vecchie classi dominanti locali. I lanifici dell'Alta Italia - prima manifestazione della grande industria nel nostro paese - realizzano ottimi affari nell'approvvigionarsi direttamente di materia prima a bassi prezzi, ed a condizioni assai vantaggiose per la scarsa circolazione di capitali nella campagna romana. Nel 1920 i rappresentanti dell'industria laniera del nord si opporranno al tentativo che si faceva di costituire in Roma un grande mercato laniero del Lazio, della Sabina, della Maremma Toscana, dell'Umbria, dell'Abruzzo e delle Marche. Essi vedevano in tale realizzazione non solo la minaccia di resurrezione di una industria concorrente a Roma, ma un danno immediato, connesso con una pura e semplice modernizzazione mercantile dell'economia agraria dell'Italia centrale. Quando non fu possibile stabilire un rapporto di sudditanza coloniale l'industria del settentrione si affidò alla politica del dumping. E' il caso di alcune industrie venete dei fiammiferi che per acquisire quote di mercato nella capitale non esitarono ad utilizzare tale strumento a scapito della produzione romana. Le industrie del nord si preoccuparono, invece, di investire i loro capitali solo su quell'industria che non avrebbe contrastato con i loro interessi immediati, ma che a breve termine avrebbe garantito delle magnifiche plusvalenze: l'Edilizia.

Le potenzialità di sviluppo della zona industriale come si è visto nelle precedenti pagine erano enormi. L'area era dotata di un notevole corso d'acqua, una vasta piana limitrofa e una discreta viabilità terrestre. Questi elementi costitutivi andavano coniugati alle potenzialità globali della nuova capitale del regno. Infatti, la città era in forte crescita demografica, poteva disporre di forza motrice derivandola da suoi principali corsi d'acqua, aveva una vasta campagna circostante. Era quindi possibile un decollo industriale, infatti a questi potenziali elementi naturali furono affiancati, nel corso degli anni, una serie di provvedimenti legislativi atti a favorire l'assetto e la crescita in senso manifatturiero dell'area. Nonostante ciò le poche industrie che si impiantarono ebbero breve vita, soffocate dalla mancanza di capitali indirizzati verso l'unica vera industria romana: l'edilizia, che trovò nelle maglie burocratiche amministrative il suo humus di sviluppo. A Roma spettò il ruolo di centro di consumi, di burocrazia, di servizi, e non di moderno centro di sviluppo produttivo.

Malgrado i tentativi quindi Roma non divenne una città industriale, fu e rimase una città-capitale, legata e strutturata ai suoi compiti politici, burocratici ed amministrativi. Fu, pertanto, ambito approdo per chi emigrava, dalla parti più povere del paese, alla ricerca di un impiego, di una sistemazione, nelle maglie del sistema burocratico. Tale afflusso di genti portò ad una crescita innaturale della popolazione, con le sue costanti fasce di disoccupati e di sottoccupati. La risposta fu la proliferazione dei servizi terziari, il ricorso ai lavori pubblici, agli interventi assistenziali. Scelte che connotarono la vita cittadina di forti tratti parassitari, come in tempi lontani, nella città dei papi.


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