con i Prati del popolo Romano
dalla "Nuova pianta di Roma"
di G.B. Nolli, 1748
La realtà quotidiana degli abitanti del rione è stata descritta in maniera estremamente dettagliata dal medico Domenico Orano (foto a sinistra) nella sua opera "Come vive il popolo a Roma. Saggio demografico sul quartiere Testaccio". Risulta da tale studio che le condizioni di vita della popolazione erano a dir poco drammatiche, non solo rapportate alla realtà attuale, ma anche in rapporto alle condizioni di vita della media cittadina dell'epoca. Dalle rilevazioni effettuate da Orano nel 1908 risulta che la popolazione del Testaccio era pari a 9262 abitanti. In larga parte era una popolazione immigrata dal Lazio, seguita dagli Abruzzesi e dai Marchigiani (28%), dagli Umbri e Romagnoli (9%), dai Campani (7%).
Gli abitanti erano distribuiti nel modo seguente nelle varie tipologie abitative:
Abitazioni |
N. di camere |
Contengono complessivamente |
da 1 camera |
513 |
ab. 2479 |
da 2 camere |
395 |
ab. 2644 |
da 3 camere |
331 |
ab. 2802 |
da 4 camere |
79 |
ab. 839 |
da 5 camere |
17 |
ab. 173 |
da 6 camere |
8 |
ab. 102 |
da 7 camere |
3 |
ab. 32 |
da 8 camere |
0 |
--- |
da 9 camere |
9 |
ab. 8 |
. | . |
Suore e militari 64 |
. | . |
Carcere militare 119 |
totale |
1348 |
9262 |
Da questa tabella risulta che la media abitativa per stanza, (togliendo dal computo Suore, Militari e Carcerati) era di 6,7 abitanti. Si trattava di una densità altissima, considerando che per l'epoca era ritenuto sovraffollato quell'alloggio che contenesse un numero di persone superiore al doppio delle stanze più uno. A questi dati medi vanno aggiunte le punte estreme, che registrano la presenza di 16 abitanti in una stanza e di 21 in due stanze. Alla domanda spesso rivolta da Orano agli inquilini, di come si trovassero nella casa, la risposta fu: "Come stamo? Come le alici".
Di conseguenza la forte densità di popolazione per vano favoriva il diffondersi di malattie infettive, che spesso portavano alla morte. La causa di morte principale tra gli adulti nel periodo 1900 - 1910 fu la tubercolosi, seguita dallle malattie del cuore, dalla "debolezza congenita" e dal tifo. Tra i bambini sotto i cinque anni le cause di morte più frequenti erano: La tubercolosi, l'epilessia, la meningite, il morbillo, l'enterite e la gracilità.
Le attività produttive svolte dagli uomini di testaccio possono suddividersi in tre settori: operai; edili; terziario.
I principali stabilimenti nei quali lavoravano i testaccini erano cinque: la ditta Ferrebeton, produzione materiali edili, con 431 operai; il pastificio Pantanella, con 252 operai; la Società Anglo Romana Gas, con 226 operai; la Società anonima cristallerie e vetrerie riunite, con 149 operai; la fabbrica di carta Pitigliani con 95 addetti tra uomini e donne. Il secondo gruppo di lavoratori era costituito dagli edili che trovavano lavoro nei cantieri della città. Il gruppo più numeroso era costituito dai scalpellini abruzzesi, la gran parte dei quali era occupata presso il Magazzino comunale dei selci a via Marmorata, oppure nelle numerose cave situate fuori Porta S.Paolo e lungo la via Ardeatina.
Il terzo gruppo era composto dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche e dai commercianti del quartiere. I primi, circa 500, benché al livello più basso della gerarchia impiegatizia erano, secondo Orano, collocabili tra la borghesia in quanto il loro salario era di circa £ 200 mensili, contro un salario medio annuo di £ 450 della categoria degli edili. I lavoratori autonomi presenti nel quartiere erano bottegai ed artigiani tra i quali fabbri, facocchi, sarti, diffuse le rivendite alimentari e le osteriei. Quest'ultime erano circa il 10% del totale delle attività commerciali del luogo. Al gradino più basso dei commercianti erano i "buiaccari" venditori ambulanti di minestra.
Le donne che lavoravano nel quartiere svolgevano mansioni ancora più dequalificanti, con orari più gravosi e salari più bassi. Buona parte delle donne era a servizio presso le case borghesi, molte erano lavandaie. Molto dura la vita delle cuoche e delle serve delle osterie del quartiere, che lavoravano fino a 18 ore al giorno. Le più fortunate lavoravano presso le fabbriche della zona, presso la Manifattura dei tabacchi di Trastevere, o come infermiere negli ospedali cittadini. La maggior parte delle donne che non svolgevano lavori esterni alle mura domestiche si dedicava, comunque, ai lavori di cucito a domicilio.
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